Un mercato in costante crescita, quello degli appalti pubblici italiani. Ma che si polarizza sempre di più verso le dimensioni maggiori. Tagliando fuori dalla partita le micro e piccole imprese, vale a dire l’ossatura dell’apparato produttivo nazionale, e favorendo piuttosto la parte progettuale rispetto a quella esecutiva dei lavori. Così il mercato degli appalti pubblici si è trasformato nella cartina di tornasole delle difficoltà burocratiche che incontrano quotidianamente artigiani e piccole imprese.

È in sintesi il risultato dell’Osservatorio Burocrazia CNA, giunto alla quarta edizione, dedicata ad “Appalti pubblici – L’Everest delle piccole imprese”. Un lavoro certosino frutto dell’analisi di oltre 6.000 bandi che riguardano 28 città italiane. Il valore monetario complessivo del mercato degli appalti pubblici nel nostro Paese ha sfiorato i 200 miliardi di Euro nel 2021. Una crescita vertiginosa: nel 2016 si fermava poco oltre i 100 miliardi, tanto per fare un confronto. Ma il costante aumento non ha modificato la sostanza del mercato. Permangono le gravi difficoltà nella partecipazione delle piccole imprese alle procedure di gara, prima di tutto a causa dell’incremento dei volumi dei bandi nelle classi d’importo maggiore, che automaticamente emargina le piccole imprese, accrescendo il fenomeno dei sub-appalti perché solo in rari casi le imprese aggiudicatarie sono poi in grado di realizzare i lavori.

Nel 2021 questo mercato si è concentrato per oltre due terzi del totale su bandi di importo superiore ai cinque milioni, con la fetta più ampia addirittura sopra i 25 milioni. Analizzando le classi d’importo delle gare bandite nel 2021, le micro imprese (che rappresentano oltre il 96 per cento delle imprese italiane) possono potenzialmente accedere solo al 17 per cento del mercato degli appalti pubblici ma la quota che riescono effettivamente ad aggiudicarsi fatica a superare il cinque per cento del valore complessivo di questo mercato.

L’importo in sé potrebbe non costituire un problema. Esiste, infatti, la possibilità di suddividerlo in lotti, suggerita pure dal legislatore. Ma solo il 18% delle gare prevede la

suddivisione in lotti. Per il resto, in quattro appalti su cinque non è neanche motivato il mancato frazionamento. E quando la motivazione è presente, risulta spesso un mero adempimento formale. Viceversa, l’esperienza internazionale, anche in assenza di un ruolo delle piccole imprese nel sistema produttivo tanto massiccio quanto quello italiano, cerca di favorirle. In Francia la quota di riserva minima a favore delle PMI è stabilita nella misura del 10% del valore stimato di un contratto pubblico. Negli Stati Uniti d’America tale quota sale al 23%. In Spagna la suddivisione in lotti è addirittura obbligatoria, e non facoltativa come da noi.

Un problema comune alle imprese italiane è quello della scarsa digitalizzazione delle procedure. Il 30% si svolge ancora in modalità cartacea prevedendo buste sigillate inviate tramite raccomandata. La penalizzazione di artigiani e piccole imprese, di fatto, non accresce la trasparenza delle gare. Solo tre stazioni appaltanti su 10 garantiscono la piena trasparenza delle informazioni di gara. E ben quattro stazioni appaltanti su 10 non pubblicano alcun dato relativo all’aggiudicazione e di conseguenza non solo mancano di chiarezza ma non aiutano le imprese uscite sconfitte a comprendere i motivi dell’esclusione e a migliorare le proprie offerte future.

Tutto ciò è causa e insieme conseguenza anche di un avviluppamento legislativo. Dal 2016 al 2022 il Codice dei contratti pubblici ha subito ben oltre 800 modifiche. Solo l’articolo 36 (relativo ai contratti sotto soglia) ha conteggiato 16 cambiamenti. Mentre orientarsi nella disciplina è da emicrania: dal Regio Decreto del 1869 ai decreti PNRR si contano più di cento fonti.

Per disboscare questa foresta fossile è necessario, allora, un intervento in profondità che tenga conto del tessuto economico nazionale e anche delle tante disfunzioni nel mercato degli appalti pubblici, che riversano sui cittadini una cascata di inefficienze e rendono spesso la vita impossibile in città e paesi italiani. La CNA ha di conseguenza redatto un decalogo per aiutare la politica a creare un mercato più efficiente e trasparente per le piccole imprese ma soprattutto per i cittadini.

“Un lavoro veramente pregevole quello dei colleghi di CNA Nazionale – ha affermato Paolo Giuffredi, Presidente di CNA Parma – che sarà nostra cura diffondere presso gli amministratori locali.  A quanto ci risulta tutte le procedure di gara nella nostra provincia sono ormai digitalizzate, ma, a parte questa pur lodevole eccezione, le altre criticità evidenziate nello studio sono le stesse in cui si imbattono anche le nostre imprese. Poi certo, non tutte le amministrazioni locali agiscono nello stesso modo, alcune sono più sensibili di altre alle esigenze delle piccole imprese, però appunto occorre una uniformità di comportamento, il tema importantissimo della partecipazione delle piccole imprese agli appalti non può essere demandato alla buona volontà di questa o quella amministrazione, ma deve trovare la giusta soluzione in un quadro normativo chiaro e coerente”.

“Le piccole imprese del territorio sono molto attente anche all’aspetto reputazionale della propria condotta, per loro non c’è solo l’aspetto economico – ha affermato Andrea Allodi, Direttore di CNA Parma – c’è anche quello certo, ma sono imprese che a casa loro ci tengono a figurare bene e ci pensano due volte prima di instaurare dei contenziosi. Bisogna evitare delle generalizzazioni ingiuste, ma è un dato di fatto che a volte, l’accorpamento di lotti in appalti di importi particolarmente elevati rappresenta si un alleggerimento della fase di gara, ma a conti fatti il vantaggio si rivela spesso più illusorio che reale. Per questo riteniamo che il nuovo codice degli appalti, per le gare sottosoglia, dovrebbe consentire alle amministrazioni di inserire degli elementi di premialità a favore delle piccole imprese del territorio”.

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