A fine anno il legislatore è tornato per l’ennesima volta
sulla delicata materia della responsabilità solidale negli appalti modificando
nuovamente la normativa ma, per una volta, non sono cattive notizie, anzi.
Viste le frequenti modifiche riteniamo utile fare il punto della situazione
alla data attuale anche se il lettore frettoloso potrà trovare un’estrema
sintesi già nel titolo del presente articolo: 
resta in vigore la responsabilità solidale per retribuzioni e contributi
sociali e assicurativi, del tutto cancellata quella in materia fiscale.

 

Potrà essere utile fare un po’ di storia e ricordare
brevemente la disciplina previgente.

 

A metà del 2012 un decreto del governo Monti aveva introdotto
(in realtà re-introdotto) la responsabilità fiscale dell’appaltatore con il
subappaltatore per il versamento all’Erario delle ritenute fiscali sui redditi
di lavoro dipendente e dell’IVA dovuta dal subappaltatore. Il  committente invece rischiava una pesante
sanzione amministrativa (da 5.000 e 200.000 euro)  qualora avesse pagato l’appaltatore senza
acquisire la documentazione che attestava che appaltatore e eventuali
subappaltatori avevano correttamente provveduto agli adempimenti fiscali
scaduti; la sanzione era dovuto solo se i soggetti a valle nella catena,
appaltatori e subappaltatori cioè, non avevano ottemperato ai loro obblighi.

 

Era anche previsto che il committente potesse sospendere il pagamento
all’appaltatore (e del pari quest’ultimo nei confronti dei subappaltatori) fino
a che non fosse stata acquisita la documentazione a comprova dell’avvenuto
pagamento degli obblighi fiscali.  Si
trattava di una norma da sempre osteggiata da CNA e più in generale da tutto il
mondo delle imprese: all’inizio, nella comprensibile confusione iniziale, si
era determinato un vero e proprio blocco dei pagamenti ma anche successivamente,
quando alcune circolari dell’ADE avevano finalmente chiarito diversi (ma non
tutti)  aspetti c’era comunque chi,
strumentalmente e in malafede, approfittava di questa normativa per ritardare i
pagamenti.

 

Per tutti, committenti, appaltatori e subappaltatori restava il
forte appesantimento burocratico, tanta inutile carta che girava, e
l’irritazione delle imprese che ritenevano che venissero scaricati  sulle loro spalle compiti che invece
sarebbero toccati alo stato: “noi siamo
aziende, paghiamo le tasse, non possiamo fare anche i poliziotti, questo non è
nostro compito
” era la giusta 
lamentela che abbiamo ascoltato tante volte dai nostri associati.

 

Questa normativa aveva perso un primo pezzo a metà del 2013
quando il c.d. “Decreto del fare” (DL 69/2013) aveva abrogato la responsabilità
solidale relativamente all’IVA; a fine 2014 poi il decreto legislativo sulle
semplificazioni fiscali ( D.Lgs 21 novembre 2014, n. 175, pubblicato in G.U. il
28/11  e entrato in vigore il 13/12/2014)
ha cancellato anche la responsabilità solidale sulle ritenute fiscali; un
provvedimento che CNA ha salutato con favore e che rappresenta una
semplificazione effettiva e non solo annunciata.

 

La responsabilità solidale fiscale esce dunque
dall’ordinamento ma resta quella per le retribuzioni,  contributi e premi INAIL  nonché, sia pure entro certi limiti, in
materia di sicurezza sul lavoro.

 

Vediamo dunque quali sono le fonti della responsabilità
solidale tuttora vigente:

• art. 1676 del
codice civile (retribuzione del lavoratore).;

• art. 29, co.
2, d.lgs. n. 276/2003 (Decreto attuativo della Legge Biagi; retribuzioni,
contributi e premi assicurativi)

•art. 26,
comma 4, d.lgs. n. 81/2008 (sicurezza sul lavoro, infortuni non indennizzati
dall’INAIL); ne facciamo un cenno per completezza ma non ce ne occuperemo in
questa nota.

 

L’articolo 1676 del codice civile prevede che i dipendenti
dell’appaltatore possano agire direttamente nei confronti del committente “per
conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il
committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la
domanda”. L’azione può essere esercitata nei confronti sia di committenti
pubblici che privati, non ha limiti temporali ma può riguardare le sole
retribuzioni e trova un limite nel debito residuo del committente nei confronti
dell’appaltatore; se il committente ha saldato integralmente il corrispettivo
non c’è spazio per questa azione.

 

La fonte di maggior rilievo per la responsabilità solidale al
momento è però rappresentata dall’articolo 29 del D.Lgs 276 del 2003 che
prevede che il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido
con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori,  entro il limite di due anni dalla cessazione
dell’appalto,  a corrispondere ai
lavoratori  i trattamenti retributivi,
comprese le quote di  TFR,  i contributi previdenziali e i  premi assicurativi  dovuti in relazione al periodo di esecuzione
del contratto di appalto. Sono invece escluse dall’obbligo solidale le sanzioni
civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.  Sono esclusi dall’ambito di questo norma  le pubbliche amministrazioni e le persone
fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale (nessuna
responsabilità solidale dunque a carico della proverbiale signora Maria che fa
ristrutturare l’appartamento). Il committente chiamato in giudizio dai
dipendenti dell’appaltatore può eccepire la preventiva escussione del debitore
principale; detto in parole povere e senza perderci nei tecnicismi della
procedura questo significa che il dipendente dell’appaltatore potrà pretendere
il saldo di quanto gli spetta dal committente solo dopo che si è dimostrato che
il suo datore di lavoro non ha i mezzi per farlo; discorso analogo per enti
previdenziali e assicurativi. Dal DL 76 del 2013 nel novero dei soggetti
tutelati dalla responsabilità solidale abbiamo non solo i dipendenti
dell’appaltatore o del subappaltatore ma anche altri soggetti autonomi che
intervengono nell’appalto (es. i Cococo o i Cocopro; non riguarda invece gli
artigiani;  si veda la Circolare
Minlavoro 35/2013).

Come possono 
tutelarsi  il committente e
eventualmente l’appaltatore dal rischio di dover rispondere in solido coi
soggetti a valle nella  catena?

 

In via preliminare ricordiamo l’obbligo per il committente e
per l’impresa affidataria di verificare l’idoneità tecnico professionale rispettivamente
delle imprese appaltatrici e dei subappaltatori previsto dal D.Lgs 81 sulla
sicurezza sul lavoro, obbligo che, quando si tratta di cantieri temporanei o
mobili (i cantieri edili in sostanza), prevede tra le altre cose l’acquisizione
del DURC (cfr. art.90 comma 9 sub a e art. 97 comma 2 che rimandano
all’Allegato XVII)  che naturalmente
offre qualche garanzia in merito agli adempimenti nei confronti degli enti
previdenziali e assicurativi.

 

Tuttavia il DURC ha dei limiti: lo  sfasamento temporale rispetto ai lavori in
corso di esecuzione e anche il fatto che nulla dice a proposito delle
retribuzioni. Il committente potrà dunque richiedere all’appaltatore (e quest’ultimo
ai subappaltatori) della documentazione aggiuntiva che   possa
tranquillizzarlo in ordine al rischio di dover rispondere in solido; potrà
trattarsi ad esempio di un elenco dei dipendenti impiegati nell’appalto, di copia
dell’ultimo F24, del LUL (Libro Unico del Lavoro), dei cedolini quietanzati,  di un DURC con data più aggiornata anche se
quello acquisito è ancora valido ecc. 
Nel contratto d’appalto potrà inoltre essere prevista l’introduzione di
ritenute a garanzia in occasione di ogni SAL (Stato avanzamento lavori).

 

 Sono però molto
importanti alcune precisazioni; per semplicità parleremo di committente e
appaltatore ma le considerazioni valgono anche nel rapporto tra appaltatore e
subappaltatori:

 

a)      Tutta
questa documentazione ulteriore fornisce al committente elementi per ritenere
che l’appaltatore ha ottemperato agli obblighi nei confronti dei dipendenti ma
non libera il committente dal vincolo solidale verso l’appaltatore e gli
eventuali subappaltatori;

 

b)      Non esiste
obbligo di legge di fornire questa ulteriore documentazione: l’obbligo ha
natura meramente contrattuale; significa che,  intanto che le parti si siedono per accordarsi
su tempi, prezzi ecc. si accorderanno anche su quale  documentazione  (e con quale periodicità)  l’appaltatore 
si impegna a fornire al committente. Se il  contratto d’appalto non contiene nulla a
questo proposito l’appaltatore (in disparte qui ogni considerazione di natura
commerciale sull’opportunità di mantenere buoni rapporti col cliente) nulla
deve al committente; richieste in tal senso avanzate al momento di liquidare la
prima fattura non hanno alcun fondamento e spesso si tratta di tentativi in
malafede per posporre il momento del pagamento.

 

c)      Proprio in
quanto non si tratta di obbligo di legge che espone a sanzioni in caso di non
ottemperanza ma di mera pattuizione tra le parti è opportuno, per non
complicare inutilmente la vita a se stessi e agli altri, che le richieste siano
proporzionate a importo e durata dell’appalto: un appalto di una settimana dove
interviene un unico lavoratore espone il committente al rischio (peraltro in un
caso del genere estremamente improbabile) di dover rispondere in solido per
qualche centinaio di euro, ben diverso evidentemente il caso di un appalto
pluriennale dove intervengono contemporaneamente una dozzina di lavoratori.

Un tema delicato che qui accenniamo solamente è quello del
rapporto tra l’ulteriore documentazione cui si accennava in precedenza e la
normativa sulla privacy. E’ lecito chiedere all’appaltatore dati relativi alla
retribuzione dei propri dipendenti? Il Ministero, nella risposta al quesito n.
18/B del vademecum sul LUL  di dicembre
2008,  dà una risposta positiva purché venga
rispettata la normativa sulla privacy. Non è chiarissimo cosa questo significhi
in concreto; in  linea di massima è
ritenuto senz’altro ammissibile fornire informazione relative al mero importo
delle retribuzioni mentre il discorso diventa senz’altro più delicato e
richiederebbe un approfondimento ad hoc qualora dalla documentazione consegnata
al committente possano ricavarsi informazioni in merito a dati sensibili quali
le condizioni di salute, l’adesione a sindacati ecc.