Sono in molti a sostenere già da qualche tempo che i video saranno sempre più centrali nella strategia di comunicazione e di marketing delle aziende, con la loro capacità di trasferire i concetti e le idee in modo semplice e immediato, oltre che di emozionare e di tenere alto l’interesse di chi li guarda.

 
Nel breve volgere di un solo anno o poco più, lo scenario è stato ulteriormente stravolto da una nuova incredibile opportunità legata alla trasmissione in diretta sul web anche attraverso i dispositivi mobili, resa possibile da applicazioni come Meerkat e Periscope ma soprattutto dai player più importanti ed utilizzati, come Facebook e YouTube.

 

Questa novità che molti hanno già accolto in modo entusiastico – tanto che le timeline dei canali sociali sono sempre più piene di live streaming di ogni genere – sta aprendo incredibili opportunità alle aziende che ne stanno facendo uso, sebbene in molti casi si tratti di esperimenti assai migliorabili. Ritrovarsi tra le mani un dispositivo in grado di trasmettere in tutto il mondo quello che si sta facendo e vedendo, infatti, rappresenta un’innovazione clamorosa, ma anche una grande incognita, in grado di rappresentare addirittura una minaccia, se l’uso che se ne fa non è consapevole e strategico.

 

Non pochi hanno visto in questo strumento un prodigioso passepartout per lo storytelling, un tool in grado di trasformare qualsiasi momento e qualunque occasione in narrazione di sé e della propria azienda, sottovalutando però un aspetto fondamentale di questa modalità di trasmissione in rete: i video in livestreaming , ancor più di qualsiasi altra forma di contenuto per i canali sociali, espone chi li utilizza al rischio concreto dell’autoreferenzialità se non ci si dispone da subito all’interazione con le persone che stanno guardando e commentando la diretta.

 

Non si tratta di contenuti statici e unidirezionali, bensì di “finestre sul mondo” nate per condividere, non per raccontare in modo unidirezionale. Mostrare senza interagire è una modalità che i vecchi media potevano permettersi in quanto monopolisti di una comunicazione tecnologicamente limitata e fisiologicamente inadatta al coinvolgimento del pubblico.

I social media hanno avuto un impatto dirompente, rispetto a questo paradigma, tanto che oggi nessuno dovrebbe più immaginare, almeno su questi canali, di poter comunicare in modo unidirezionale e autoreferenziale. 

 

Quanto allo storytelling, effettivamente questa nuova modalità si presta in modo eccezionale a raccontare, ma la carta vincente è rappresentata dal modo in cui viene utilizzato, non dal mezzo in sé, prodigo di pericoli quanto di opportunità.

 

Raccontarsi in live streaming è qualcosa che funziona soltanto se ci sforziamo di capire che chi ci sta guardando non è lontano decine, centinaia o migliaia di chilometri, ma è lì insieme a noi e vuole essere coinvolto, piuttosto che intrattenuto. Non vuole ascoltare una storia, ma farne parte in modo attivo e partecipe.

Questa nuova tecnologia, ancora una volta, mette in evidenza come non ci sia più spazio per quelle realtà che pensano di poter calare dall’alto la propria verità e la propria narrazione, che deve invece essere scritta e vissuta a più mani, a partire dal basso e in modo sempre più orizzontale e trasversale.

 

Che si usi Periscope o Facebook Live, per lo streaming, che si colleghino delle telecamere a una regia o che si trasmetta da tablet o da smartphone, il denominatore comune delle dirette sui canali sociali è dunque uno soltanto: be social, raccontatevi in modo corale. Certo non è semplice, in live streaming, interagendo con gli altri, esprimere un concetto in modo strutturato. Se dobbiamo comunicare in modo istituzionale e organizzato è opportuno utilizzare i video tradizionali, registrati e montati in modo professionale, per poi essere caricati sul canale YouTube e sul sito, condividendoli poi sui social come un qualunque altro contenuto del sito stesso.

 

Ci vorranno anni prima che le aziende e i professionisti comprendano appieno le potenzialità e le dinamiche di questi strumenti, ma siamo sempre più vicini ad un mondo in cui la real time TV sarà veramente in tempo reale, oltre che autentica e genuina. Allora le persone si sentiranno davvero parte delle aziende, partecipi della loro vision e di una narrazione che non sarà più orientata al marketing e alla vendita in quanto tali, ma alla cura quotidiana di relazioni e di rapporti vitali per la sopravvivenza dell’azienda stessa.

 

Fonte: www.centodieci.it