Il lavoratore assente per malattia che
voglia rientrare al lavoro anticipatamente, rispetto alla prognosi inizialmente
formulata dal proprio medico curante nel certificato di malattia, può essere
riammesso in servizio solo in presenza di un certificato medico di rettifica
della prognosi.

 

L’Inps torna su un tema già affrontato e
conferma che la rettifica della data di fine della prognosi, a fronte della
guarigione anticipata, è un adempimento obbligatorio da parte del lavoratore
sia nei confronti dell’Inps sia nei confronti del datore di lavoro.

 

Il certificato medico ha valore di domanda
di prestazione: di conseguenza, così come per l’inizio e la continuazione,
anche per la cessazione anticipata il lavoratore è tenuto a comunicare,
mediante la rettifica del certificato telematico, il venir meno dello stato di
malattia e quindi delle connesse prestazioni economiche.

 

Con la circolare in commento l’Inps precisa
che la rettifica deve essere effettuata prima della ripresa dell’attività
lavorativa e va richiesta allo stesso medico che ha redatto il certificato
riportante una prognosi più lunga.

 

Qualora poi emerga, in sede di visita di
controllo domiciliare e/o ambulatoriale, la mancata o tardiva comunicazione
della ripresa anticipata dell’attività lavorativa, verranno applicate al
lavoratore le sanzioni previste per le assenze ingiustificate a visita di
controllo (100% dell’indennità per massimo 10 giorni, in caso di 1° assenza;
50% dell’indennità nel restante periodo di malattia, in caso di 2° assenza;
100% dell’indennità dalla data della 3° assenza).

La sanzione sarà comminata fino al giorno
precedente la ripresa dell’attività lavorativa. Se il lavoratore non trovato al
domicilio viene invitato a visita ambulatoriale deve produrre una dichiarazione
(si ritiene firmata dal datore di lavoro) attestante la ripresa dell’attività
lavorativa.

 

Il datore di lavoro, in presenza di un
certificato con prognosi ancora in corso, non può consentire al lavoratore la
ripresa dell’attività lavorativa. Infatti, non potendo valutare se e in quale
misura il lavoratore abbia effettivamente recuperato le proprie energie
psicofisiche tali da garantire se stesso e l’ambiente di lavoro, si troverebbe
nell’impossibilità di assolvere agli obblighi imposti dalle norme in materia di
salute e sicurezza sul lavoro dall’articolo 2087 c.c. e dal d.lgs. 81/2008.

 

Riferimento: circolare INPS 79/2017.

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